L’intelligenza artificiale nelle traduzioni

Tra i software online più conosciuti c’è Google Translate che da ben 14 anni anni (è stato lanciato nel 2006) ha dimostrato che le “macchine” non sono ancora in grado di eseguire traduzioni da una lingua ad un altra, come un traduttore in carne ed ossa.
Niente di cui stupirsi: fornire a un sistema automatico le regole grammaticali di alcune lingue e il vocabolario necessario a tradurre le parole da una all’altra non è sufficiente per ricreare correttamente le sfumature, le sottigliezze, il contesto che caratterizzano qualcosa di complesso e creativo come il linguaggio umano.


Dalla loro creazione le macchine hanno sostituito l’operato dell’uomo quando si trattava di eseguire calcoli complessi (perché i parametri imposti erano stringenti) ma vanno in crisi quando non appena  vengono messe alla prova con qualcosa che riguarda con la creatività.

Recentemente, tutto ciò ha iniziato a cambiare.
Con l’avvento del deep learning (il sistema oggi diventato quasi sinonimo di intelligenza artificiale) si è assistito non solo a incredibili conquiste in ambiti che con la matematica c’entrano ben poco (dal riconoscimento immagini fino alla creazione di quadri), ma anche a intelligenze artificiali che si cimentano con successo in settori ancora più complessi, tra cui il linguaggio.
A fare da apripista in questo campo, solo tre anni fa, fu proprio Google Translate, che nel novembre 2016 iniziò a sfruttare il deep learning e fece subito un impressionante salto qualitativo.

Spiegare dettagliatamente come questo salto avvenne sarebbe troppo lungo.
In estrema sintesi, si può dire che – grazie al deep learning – Google Translate smise di applicare rigidamente le regole e il vocabolario delle lingue che cercava di tradurre (senza alcun successo) e iniziò ad analizzare quale fosse la traduzione corretta di una parola o di una frase basandosi anche sul contesto. O meglio, su una valutazione statistica di quale sia la corretta traduzione di una parola sulla base delle altre parole che compaiono nelle vicinanze (basandosi sull’immenso database a sua disposizione).

Una volta accertati gli straordinari progressi compiuti da Translate, anche un lavoro creativo e intellettuale come il traduttore venne inevitabilmente inserito nelle liste dei “lavori in via di estinzione”.
Ed è proprio da qui che, in un lungo articolo pubblicato da Hofstadter (docente di Scienze Cognitive e di Letteratura Comparata) parte per mettere a punto una critica feroce rivolta a chi confonde il linguaggio con un codice da decifrare e ritiene che le macchine possano davvero capire i testi scritti e sostituire i traduttori umani.

Le macchine, ovviamente, non possono davvero comprendere un testo.
Come acutamente nota Hofstadter, le macchine possono semmai aggirare o eludere la vera comprensione di un testo. In poche parole, devono riprodurre correttamente un testo in un’altra lingua (con tutte le sue sfumature, ambiguità e modi di dire) nonostante non siano in grado di capirne il significato.

L’intelligenza artificiale riproduce letteralmente dei modi di dire, facendo perdere loro qualunque significato, o si incarta in periodi complessi producendo frasi che, semplicemente, non hanno senso.
Hofstadter può così cantare vittoria: “Noi umani conosciamo tutto ciò che riguarda le coppie, le case, i possedimenti personali, l’orgoglio, la rivalità, la gelosia, la privacy e tantissimi altri concetti astratti che portano a bizzarrie come le coppie sposate che hanno asciugamani con sopra ricamato ‘suo’ e ‘sua’. Google Translate non ha dimestichezza con queste situazioni.
Google Translate non ha dimestichezza con le situazioni, punto”.

Messa alla prova da Hofstadter anche con brani tratti da romanzi tedeschi e cinesi, la macchina continua a fallire, non riuscendo a riprodurre correttamente le parole quando assumono significati diversi da quelli più comuni o ricreando interi periodi in maniera confusa se non addirittura incomprensibile (soprattutto dal cinese all’inglese).


Ma questa non è una sorpresa: cosa ci dovremmo aspettare da una macchina che si cimenta con qualcosa di incredibilmente complesso come il linguaggio umano?
La vera sorpresa è che, in molti altri casi, Google Translate riesce ad aggirare la necessità di comprendere davvero un testo restituendo comunque una traduzione accurata.
Nei casi portati da Hofstadter questo è avvenuto raramente.
Il punto davvero importante è quindi uno: dovremmo stupirci del fatto che un’intelligenza artificiale sbagli spesso a tradurre opere narrative complesse, o meravigliarci che in molti altri casi riesca nell’incredibile impresa di tradurre quasi correttamente?
E quindi, davvero i traduttori scompariranno dalla circolazione?
La risposta più probabile a questa seconda domanda è: dipende.

Se parliamo di traduttori che lavorano su testi scientifici (come può essere un manuale scolastico di chimica) o addirittura sui libretti per le istruzioni, è molto probabile che a breve gli algoritmi di intelligenza artificiale saranno in grado di cavarsela da soli (con un po’ di supervisione, lo sono già adesso).
Ma se invece parliamo di tradurre un poeta come Pushkin (lavoro in cui si è cimentato lo stesso Hofstadter), si può stare tranquilli: solo l’essere umano è in grado di tradurre opere così complesse, che richiedono inevitabilmente l’intelletto, la creatività e la comprensione umana.
Anche se, con quel brano di Dostoevskij, Google Translate se l’è cavata proprio bene. 

 

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